Dal Vangelo secondo Giovanni 10,1-10
L’immagine del pastore che cammina davanti al gregge appartiene a una civiltà ormai quasi scomparsa dal nostro mondo occidentale. Probabilmente, molti di noi hanno sentito parlare di pastori solo dal vangelo o qualche volta dalla TV; in qualcuno, poi, potrebbe rivivere quell’immagine oleografica, che rappresenta Gesù con una pecorella attorno al collo. Quando dunque leggiamo le pagine evangeliche che parlano del “buon pastore”, rischiamo di non capire.
Cosa fa, dunque, un buon pastore? Conduce il gregge nei pascoli migliori; sorveglia ogni singolo capo perché non si perda; ricovera il gregge durante la notte; nella situazione di pericolo, si dà da fare per mettere in salvo ogni pecora, perché ciascuna di esse è un capitale per lui. Fatica, quindi, e può anche rischiare la vita per salvare un unico esemplare.
Nella metafora del buon pastore, noi, uomini di ogni tempo, siamo le pecore; Gesù è colui che si assume ogni responsabilità per darci nutrimento e sicurezza, per metterci in salvo dai pericoli. E in salvo, Gesù ci ha già messo, donandoci la vita mediante la sua stessa vita. Non ha risparmiato se stesso. Non ci ha lasciato in eredità teorie politiche o fantasie religiose o buoni pensieri da filosofo. Ha voluto cambiare la nostra esistenza, ridonarci la speranza e la gioia di vivere. Ci ha riconciliati con il Padre suo e ci ha consegnato il suo perdono.
Gesù ci conosce uno per uno e ci chiama per nome. Per lui siamo preziosi, siamo la sua ricchezza, ci ha salvati a prezzo del suo sangue. Noi conosciamo la sua voce e lo seguiamo.
Ascoltare Cristo e riconoscerne la voce: questa è la porta aperta sulla salvezza, quella che si spalanca sulla speranza, quella che ci introduce nella casa del Padre. Alla luce di questo vangelo tutto trova un senso, anche la sofferenza, anche la fatica, anche l’impegno paziente che mettiamo nel comprendere sempre meglio la Parola, per vivere sempre meglio la nostra fede.
Non dobbiamo provare vergogna di mostrare la nostra fragilità e la nostra sofferenza, anche se va contro le regole di un mondo che esalta i cultori della forza e dell’efficienza, perché il Figlio di Dio, attraverso questa stessa fragilità e sofferenza, ha salvato il mondo. Offriamo a Cristo la nostra situazione di fragilità, e lasciamoci condurre da lui, che troverà per noi il pascolo migliore.