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A cura di Fra Gbattista Buonamano ofmconv

Il Prossimo da amare e servire non mancherà mai


Dal Vangelo di Matteo 25,31-46

La Parola di questa Domenica, Solennità di Cristo Re, è la nota pagina di Matteo sul giudizio finale che, in sintesi, ci ripresenta tutto il messaggio del Vangelo, nella Parola Misericordia.

Se “misericordioso e compassionevole” è il nome di Dio, Gesù di Nazareth ha dato un volto d’uomo a tale misericordia e compassione e l’ha narrata nella sua vita e, dietro a lui, per la fede in lui e l’amore per lui, anche il discepolo del Signore può vivere la misericordia. Nella Bibbia la misericordia non è semplicemente un’emozione, un fremito delle viscere di fronte al soffrire altrui: essa nasce come acuta risonanza del soffrire altrui, ma diventa poi etica, prassi, virtù. Insomma, alla radice delle opere di carità vi è il Volto del Dio misericordioso e il bisogno dell’uomo: esse nascono dall’esperienza dell’amore di Dio e realizzano il comando dell’amore del prossimo. Il testo di Matteo 25 ci propone le “opere di misericordia spirituali”, accanto a quelle rivolte al “corpo” dell’uomo, «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Inteso in senso materiale o spirituale, una cosa è certa: chi compie un’opera buona in un senso o nell’altro, e nutre anime con alimenti spirituali, o farà qualsiasi altra specie di opera buona per amore di Dio, è al Cristo affamato e assetato che dà da mangiare e bere. Nel Testamento, Francesco definì momento capitale della propria conversione l’incontro con i lebbrosi e condannò come peccaminosa la condotta da lui tenuta in gioventù: «Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e feci misericordia con essi. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza dell’anima e del corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo» (FF 110). L’inizio della conversione fu così caratterizzato come un «fare misericordia». Da uomo centrato su se stesso – questa fu, nella sostanza, la radice dei suoi peccati giovanili – egli divenne capace di guardare ai problemi degli altri, fino a condividere, anche nelle modalità esteriori, l’esperienza di vita di coloro che ripresentavano, ai suoi occhi, la viva presenza del Cristo nella storia degli uomini.

La Parola evangelica del giudizio universale è il testo che ha aiutato anche Elisabetta a riconoscere e amare Gesù soprattutto nei poveri e negli ammalati. Infatti, in tutta la sua breve vita fu consolatrice dei poveri, sostegno degli affamati… Con tale intento, fece costruire ospedali in cui raccolse molti malati di ogni genere e bisognosi.

La Misericordia, è capace di rovesciare i criteri di valore e di giudizio: l’amaro può diventare dolce e ciò che prima era aborrito trasformarsi in ragione di vita da trasformare Francesco, Elisabetta … ognuno di noi in strumenti di misericordia. E’ dall’esperienza di Misericordia che può nascere una “umanità nuova”.


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