Ultimamente rimbalza continuamente la notizia riguardante la legge sul living will (il biotestamento), e continuamente si fronteggiano due posizioni nette, chi lo vuole e chi no. Ma possiamo davvero ritenere che la morte sia un diritto e l’espressione della propria libertà? La discussione non ruota intorno alla saggia rinuncia a sospendere terapie sproporzionate o all’accanimento terapeutico, quanto piuttosto sulla mentalità eutanasica che fa da sfondo a tale discussione.
Chi desidera il DAT (dichiarazione anticipata di trattamento) sono coloro che ritengono che la vita debba avere un’alta qualità per essere vissuta, debba raggiungere certi “standard produttivi”, che ciò che conta non è la libertà (orientare la propria volontà per raggiungere il vero bene) ma il libero arbitrio (io faccio quello che voglio della mia vita).
Non si tratta di schierarsi a favore o contro questa proposta di legge, perché il DAT esprimerebbe la volontà del paziente rispetto a delle scelte cliniche di cui è protagonista, ma qual è la mentalità sottintesa in una decisione del genere? Ogni vita è sacra, unica e irripetibile e noi cristiani abbiamo il compito di custodirla dal suo sorgere fino al suo tramonto.