Dal Vangelo di Marco 1,21-28
Nella prima lettura Mosè assicura il popolo di Israele che «il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me».
Nel Vangelo Gesù insegna come uno che ha autorità, con un insegnamento nuovo, comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono. Gesù si presenta dunque come il nuovo Mosè, il Profeta tanto atteso di cui ci parla la prima lettura.
Ma chi era (e chi è) un profeta? La parola “profeta” letteralmente indica “colui che parla davanti, per, al posto di”. Nell’Antico Testamento egli non era un indovino che prediceva il futuro, bensì era colui che leggeva la realtà contemporanea e la interpretava alla luce della Parola di Dio; con un’espressione più moderna possiamo dire che il profeta è colui che “sa riconoscere i segni dei tempi” e proprio questa sua caratteristica gli permetteva, e gli permette, di scacciare molti “spiriti impuri”.
Il profeta oggi scaccia lo spirito della paura, perché il cristiano sa guardare il presente scorgendovi la presenza di un Dio amoroso che lo custodisce; allontana il demone dell’ignoranza e della chiusura, perché la Parola di Dio invita a non temere la novità dello Spirito; bandisce lo spirito della superficialità, perché il profeta non si fa sballottare da ogni “vento di dottrina” (Ef 4,14), ma sa discernere ciò che è vero e bene da ciò che è ingannevole per dirigere sé e i fratelli nelle strade del bene.
Con il Battesimo ciascuno di noi è stato unto quale “profeta” e a noi come Chiesa è affidato «è il dovere permanente di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche» (GS, 4).
Se riusciremo in questo non facile intento, ancora oggi gli spiriti impuri avranno una vita parecchio dura.