Commento al Vangelo secondo Luca 4, 21-30
Domenica scorsa avevamo incontrato Gesù che, a casa sua, dopo la lettura del rotolo di Isaia, proclama l’inizio del tempo di Grazia. L’attesa è finita. Gesù presenta il suo programma per un mondo senza più poveri, ciechi, oppressi e tutti nella sinagoga capiscono di aver ascoltato parole nuove, parola di grazia! Però l’entusiasmo passa in fretta, perché Gesù viene catalogato, chiuso nelle loro categorie: «non e costui il figlio di Giuseppe?», non si aprono alla sorpresa.
Ma la vita si spegne proprio quando muoiono le attese, è ciò accade nelle nostre famiglie, tra amici, l’abitudine spegno il mistero e la sorpresa, è l’altro invece di essere una benedizione, è solo il figlio di Giuseppe, o il falegname.
C’è una profezia nel quotidiano, in casa mia, tra i miei amici, che avvolte come gli abitanti di Nazareth non riusciamo a vedere «quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui!», non ci bastano le parole.
Avvolte non cerchiamo Dio, ma solo per i suoi vantaggi. Se perdiamo il senso della profezia, se non ci lasciamo scuotere, se non abbiamo il coraggio di ricordarci che siamo in continua conversione, rischiamo di allontanare Gesù dalla nostra vita o dalla chiesa, o peggio buttarlo giù da un precipizio perché non pensa come noi.
Lasciamoci stupire, apriamo le porte del nostro cuore per vedere il Signore che passa in mezzo a noi.