Commento al Vangelo di Giovanni 21,1-19
Il Vangelo di questa III domenica di Pasqua racconta l’incontro tra Cristo risorto e l’apostolo Pietro.
Siamo sul lago di Tiberiade, il luogo della chiamata dei primi discepoli. Proprio in quel luogo, Pietro e i suoi compagni avevano lasciato tutto per seguire Gesù. Adesso sono ritornati al punto di partenza, nella delusione di chi ha visto svanire i propri sogni e nella solitudine di chi ha perso il proprio punto di riferimento.
In questo orizzonte triste e mediocre (le reti sono di nuovo vuote) ancora una volta, Gesù viene a donare vita e salvezza. Poco a poco, Pietro e gli altri discepoli lo riconoscono: è il Signore Risorto che è venuto per mangiare con loro. Non si scandalizza perchè i discepoli non lo hanno riconosciuto...anzi, è venuto ancora una volta perché i suoi “abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv10,10).
I discepoli, nell’incontro con Cristo risorto ricevono quella vita che era stata loro promessa, che non può essere tolta dal tradimento, dal peccato e dalla morte.
Ecco cosa vuol dire seguire Gesù Cristo! Conoscere quell’ amore cosi grande da coprire e superare le mancanze degli uomini.
Pietro ne ha fatto esperienza. Dopo aver pianto amaramente per il suo tradimento ed essersi liberato dall’inganno dell’autosufficienza può vivere nella verità di essere un uomo debole e fragile, amato da Dio. Solo adesso può vivere pienamente, nella verità, il servizio di guida della Chiesa, testimoniando quella salvezza, che lui stesso per primo ha ricevuto.
A Pietro non sono richiesti speciali meriti e competenze; solo l’amore per Cristo vero e sincero, seppur debole e fragile, deve guidare il suo ministero.
Come Pietro, anche noi siamo chiamati a servire la Chiesa non confidando in noi stessi, ma lasciandoci plasmare e guidare dall’amore di Gesù Cristo morto e risorto per noi.