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A cura di Fra Andrea Massi OFMCap Assistente

Gesù non ci abbandona mai.


Commento al Vangelo di Giovanni 20,19-31

I discepoli stavano vivendo un momento di paura, di smarrimento: il loro maestro, per cui avevano lasciato tutto, non c’era più. L’uomo, che aveva mostrato loro orizzonti infiniti, era chiuso nel sepolcro. In quel momento tutto era finito. C’era anche la paura di essere riconosciuti e di fare la stessa fine di Gesù.

Ciò che rende forte questo gruppo di persone è una scelta sapiente, buona: lo stare insieme, il non separarsi, ma fare comunità. La tattica umanamente migliore per fuggire sarebbe stata il dileguarsi in mezzo alla folla, mischiarsi a tutti gli altri; in quel modo sarebbe stato più difficile identificarli. Ma loro hanno deciso invece di fare gruppo. Ciò che identifica il gruppo in quel momento è la paura e il desiderio di stare insieme.

In quella casa succede qualcosa che cambierà la loro vita: arrivano il vento e il fuoco dello Spirito. In quella casa nasce la prima comunità cristiana, da un bisogno umanissimo e semplice, l’appoggiarsi l’uno all’altro, per paura e per memoria di Lui, e dall'azione dello Spirito, che riporta alla loro memoria e al loro cuore tutte le sue parole.

Gesù ritorna da loro, e sono ancora lì tutti assieme. Lui si propone invece di imporsi, si mette nelle loro mani: metti, guarda; tendi la mano, tocca.

Le ferite della crocifissione sono rimaste aperte, perché quelle ferite sono la gloria di Dio, e resteranno per sempre.

Gesù, anche se lo hanno abbandonato nel momento più doloroso della sua vita, non li abbandona mai, e a Tommaso si ripropone un’ennesima volta. Nel Vangelo non si dice che Tommaso abbia toccato: gli è bastato che Gesù gli chiedesse di mettere il dito nelle sue ferite. E Tommaso risponde: Mio Signore e mio Dio! Mio come il mio cuore, e senza non potrei vivere.

Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto! Gesù ci rende liberi da segni esteriori, e rimanda alla serietà delle scelte, che impegnano la vita. Così come ha fatto Tommaso.

Quanto sarebbe bello che le comunità, le fraternità, potessero vivere quell’unione che c’è stata nei primi discepoli, quando avevano paura, e sperimentare che proprio nel momento di sgomento il Signore arriva portando la sua pace: “Pace a voi”.


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