Dal Vangelo di Luca 7, 17-17
In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.
Dal messaggio del Santo Padre per la XXXV Giornata Mondiale della Gioventù 2020 (Domenica delle Palme, 5 aprile), 05.03.2020
Il giovane, dice il Vangelo, «cominciò a parlare» (Lc 7,15). La prima reazione di una persona che è stata toccata e restituita alla vita da Cristo è esprimersi, manifestare senza paura e senza complessi ciò che ha dentro, la sua personalità, i suoi desideri, i suoi bisogni, i suoi sogni. Forse prima non l’aveva mai fatto, era convinta che nessuno potesse capirla!
Parlare significa anche entrare in relazione con gli altri. Quando si è “morti” ci si chiude in sé stessi, i rapporti si interrompono, oppure diventano superficiali, falsi, ipocriti. Quando Gesù ci ridona la vita, ci “restituisce” agli altri (cfr v. 15).
Oggi spesso c’è “connessione” ma non comunicazione. L’uso dei dispositivi elettronici, se non è equilibrato, può farci restare sempre incollati a uno schermo. Con questo messaggio vorrei anche lanciare, insieme a voi giovani, la sfida di una svolta culturale, a partire da questo “Alzati!” di Gesù. In una cultura che vuole i giovani isolati e ripiegati su mondi virtuali, facciamo circolare questa parola di Gesù: “Alzati!”. È un invito ad aprirsi a una realtà che va ben oltre il virtuale. Ciò non significa disprezzare la tecnologia, ma utilizzarla come un mezzo e non come un fine. “Alzati” significa anche “sogna”, “rischia”, “impegnati per cambiare il mondo”, riaccendi i tuoi desideri, contempla il cielo, le stelle, il mondo intorno a te. “Alzati e diventa ciò che sei!”. Grazie a questo messaggio, tanti volti spenti di giovani intorno a noi si animeranno e diventeranno molto più belli di qualsiasi realtà virtuale.
Perché se tu doni la vita, qualcuno la accoglie. Una giovane ha detto: “Ti alzi dal divano se vedi qualcosa di bello e decidi di farlo anche tu”. Ciò che è bello suscita passione. E se un giovane si appassiona di qualcosa, o meglio, di Qualcuno, finalmente si alza e comincia a fare cose grandi; da morto che era, può diventare testimone di Cristo e dare la vita per Lui.
Cari giovani, quali sono le vostre passioni e i vostri sogni? Fateli emergere, e attraverso di essi proponete al mondo, alla Chiesa, ad altri giovani, qualcosa di bello nel campo spirituale, artistico, sociale. Vi ripeto nella mia lingua materna: hagan lìo! Fatevi sentire! Da un altro giovane ho sentito dire: “Se Gesù fosse stato uno che si fa gli affari suoi, il figlio della vedova non sarebbe risuscitato”.
La risurrezione del ragazzo lo ricongiunse a sua madre. In questa madre possiamo vedere Maria, nostra Madre, alla quale affidiamo tutti i giovani del mondo. In lei possiamo riconoscere pure la Chiesa, che vuole accogliere con tenerezza ogni giovane, nessuno escluso. Preghiamo dunque Maria per la Chiesa, affinché sia sempre madre dei suoi figli che sono nella morte, piangendo e invocando la loro rinascita. Per ogni suo figlio che muore, muore anche la Chiesa, e per ogni figlio che risorge, anch’essa risorge.
Dalle Fonti Francescane
Lettera ai fedeli
2218 5. Si adoperano poi con tanta diligenza a rinnovare in sé la religione, la povertà e l'umiltà della Chiesa primitiva, -attingendo con sete e ardore di spirito alle acque pure che sgorgano dalla sorgente del Vangelo-, che si impegnano con tutte le forze ad attuare, non soltanto i comandamenti, ma anche i consigli evangelici, imitando così passo per passo la vita apostolica. Rinunciando ad ogni proprietà, rinnegano se stessi e, prendendo la loro croce, nudi seguono Cristo nudo. Come Giuseppe, depongono il loro mantello; come la Samaritana, la loro anfora, e corrono, liberi e leggeri, davanti al volto del Signore, senza mai riguardare indietro. Dimentichi delle cose passate, si protendono sempre in avanti con passi mai stanchi, e volano come le nubi o come le colombe verso le loro colombaie, premunendosi con ogni diligenza e cautela perché non vi entri la morte.
Per riflettere
Parlare significa anche entrare in relazione con gli altri. Quando si è “morti” ci si chiude in sé stessi, i rapporti si interrompono, oppure diventano superficiali, falsi, ipocriti. Nel Vangelo ci viene illustrata che la prima azione compiuta dal giovane ritornato in vita è cominciare a parlare; e il Papa, attraverso le righe riportate, ci fa ben intendere che parlare significa entrare in relazione con l’altro. Quindi ogni qual volta viviamo da morti significa che non entriamo in relazione con l’altro. E vivere da morti non è per forza da intendere in modo letterale: posso vivere da morto quando la mia vita è arenata e non va avanti, quando mi chiudo e non curo le relazioni con gli altri, o quando nel mio cuore faccio prevalere sentimenti di egoismo. E tu stai “vivendo da vivo” o stai “vivendo da morto”?
Oggi spesso c’è “connessione” ma non comunicazione: il Papa ha scritto questo messaggio molto prima che si diffondesse la pandemia, e voleva sottolinearci quanto sia importante entrare in relazione con gli altri indipendentemente dai mezzi di comunicazione. Ma, in tempi di pandemia, come interpretare questa frase? Naturalmente egli non vuole demonizzare i mezzi di comunicazione; tutt’altro: ci invita ad interrogarci su come noi utilizziamo essi. Cioè fare in modo che il messaggio che comunichiamo tra noi sia realmente di donazione reciproca, e i mezzi non siano solamente strumenti per essere superficialmente connessi tra noi. Ciò che ci viene chiesto in questo periodo è forse fare attenzione a vivere da risorti entrando in tutto quello che viviamo e cercando di comunicare noi stessi, qualsiasi sia la modalità. E a te, basta essere apparentemente connesso con gli altri, o percepisci la necessità della donazione reciproca?
Nel passo tratto dalle Fonti Francescane ci soffermiamo sul tema del rinnovamento che la vita da risorti ci porta, inteso come miglioramento partendo dalle esperienze vissute, dagli errori commessi e dai punti di forza che abbiamo. Si adoperano poi con tanta diligenza a rinnovare in sé la religione, la povertà e l'umiltà della Chiesa primitiva: quanto siamo disposti anche noi a rinnovare ciò che di primitivo c’è nelle nostre vite? La Pasqua ci insegna proprio questo: ci regala una nuova vita da risorti, ci porta, quindi, un messaggio di rinnovamento. Cosa c’è di nuovo nelle nostre vite?
Impegno
Cosa significa vivere da risorti? Come l’annuncio della Pasqua cambia la nostra vita?
Il ragazzo di Nain, dopo aver avuto la vita, comincia a parlare: si esprime, si mette in relazione, diventa testimone. Anche dopo la Resurrezione di Gesù i discepoli corrono ad annunciare la buona notizia agli altri, perché la loro esultanza di cuore nel ricevere la notizia della Pasqua si trasforma in movimento verso gli altri, in desiderio di condivisione, è contagiosa! Ieri il Papa nel suo messaggio Urbi et Orbi ci ha detto che questo «è un altro “contagio”, che si trasmette da cuore a cuore – perché ogni cuore umano attende questa Buona Notizia. È il contagio della speranza: “Cristo, mia speranza, è risorto!”.»
Lasciamoci anche noi contagiare dalla gioia della Resurrezione e portiamola nella nostra quotidianità: ci aspettano ancora tempi difficili, sarebbe facile farsi trascinare dal malcontento, dal cinismo, dalla rabbia, dal dolore, dallo sconforto della solitudine o dalla mal sopportazione nei confronti di chi vive con noi.
Non così sia per noi! Togliamo il lievito vecchio per essere pasta nuova (1Cor 5, 7). Oggi, al termine del percorso di questa rubrica, non vogliamo lasciare un impegno per la settimana, bensì vogliamo lasciare l’augurio che, ogni giorno, anche il nostro cuore possa fare un passaggio a una vita nuova da risorti. Diventiamo testimoni della Pasqua, portando prima di tutto l’annuncio attraverso il modo in cui viviamo: usiamo pazienza, smorziamo i litigi, portiamo avanti piccoli gesti di gentilezza e attenzione verso gli altri, preghiamo, speriamo, amiamo donando la nostra vita. Il Papa ci invita a cambiare il mondo, e questo parte prima di tutto da un cambiamento del nostro cuore. Ma attenzione, la Pasqua non è una questione di sentimentalismo, la croce non sparisce e le nostre ferite non scompaiono, ma è l’ottica della Resurrezione che dà loro un senso: come dice Papa Francesco, «il Risorto è il Crocifisso, non un altro. Nel suo corpo glorioso porta indelebili le piaghe: ferite diventate feritoie di speranza.» (Messaggio Urbi et Orbi, Papa Francesco, 12 aprile 2020)
sono una ragazza che quest'anno finisce il percorso nell'araldinato e fa il passaggio in gifra a settembre dell'anno prossimo di una delle fraternità di calabria ,leggedo mi si è proprio aperto il cuore, bellissimo